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mercoledì 1 gennaio 2014

"Fëdor Linde e i "se" della Storia - 2".
In una lettera al socialrivoluzionario Boris Sokolov, scritta nella primavera del 1917, Linde rievocò il modo in cui era riuscito a persuadere i cinquemila soldati del reggimento Preobraženskij, alloggiati nella sua stessa caserma nei pressi del Palazzo di Tauride (sede della Duma, il Parlamento), a partecipare all'ammutinamento.
"Non so che cosa mi sia successo. Ero sdraiato su una branda a leggere un libro di Haldane. Ero talmente assorto nella lettura che non ho sentito le grida e i rumori che giungevano dalla strada.  Una pallottola vagante ha mandato in frantumi la finestra accanto alla branda [...] I cosacchi stavano sparando sulla folla inerme e indifesa, picchiando con i frustini, calpestando sotto gli zocccoli dei cavalli quelli che cadevano. E allora ho visto una ragazza che cercava di sfuggire al cavallo di un ufficiale lanciato al galoppo, in confronto al quale era però troppo lenta. Un duro colpo in testa l'ha abbattuta davanti alle zampe dell'animale. La ragazza ha gettato un grido. E' stato quel grido disumano e penetrante a scuotermi. Sono saltato su un tavolo e ho cominciato a gridare: "Amici! Amici! Viva la rivoluzione! Alle armi! Alle armi! Si uccide della gente innocente, si uccidono i nostri fratelli e le nostre sorelle!".
In seguito mi hanno detto che nella mia voce c'era qualcosa che rendeva impossibile resistere a quell'invocazione [...] Mi sono venuti dietro senza neppure rendersi conto né dove né in nome di quale causa ci si muovesse [...] Hanno partecipato tutti agli attacchi contro i cosacchi e i poliziotti. Ne abbiamo ammazzato qualcuno. Gli altri hanno battuto in ritirata. A notte il combattimento era finito. La rivoluzione era ormai realtà  [...] E io, be', io quella sera stessa sono tornato al mio libro di Haldane". (da "Tragedia di un popolo", Orlando Figes, pag. 392).

Fëdor Linde
Con "Rivolta" ho provato a scrivere l'equazione di una rivoluzione, a tracciare il grafico delle curve di disperazione, sopraffazione, ribellione, bisogno di giustizia, necessità di un futuro migliore, ...
A rileggere le parole di Linde, a ripensare alla disperazione del venditore ambulante tunisino Mohamed Bouazizi, alla rabbia dei ragazzi di Piazza Tahrir al Cairo, alla disobbedienza civile dei manifestanti di Gezi Park a Istanbul o all'indignazione dei tanti "forconi" italiani di questi mesi, si intuisce che tutte le rivolte hanno, in fondo, proprio un'equazione in comune.

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Ad analizzare i fatti d'Italia, a immaginarne le prospettive politiche e sociali... viene l'accupazione, l'asfissia. L'unica via per non soffocare è la speranza, la speranza che (come Malachaj, il principe rivoluzionario di "Rivolta" si auspica) un evento straordinario possa rimettere il Paese deragliato sui binari dell'umanità e quindi, come direbbe Leonardo Sciascia, della Giustizia.
Non è tanto, lo so ("Chi di speranza vive, disperato muore"), ma è già qualcosa, è meglio che niente.
Solo la vera Arte può far superare le bassezze umane.

Buon Futuro