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mercoledì 11 settembre 2013

"Orwell e il suo monologo diuturno e inquieto".
Gli articoli di questo blog guardano spesso, da diversi punti di vista, sempre la stessa realtà, lo stesso chiodo.
George Orwell (Eric Arthir Blair); Motihari, India 1903 - Londra 1950
Recentemente ho riletto "1984". Il traduttore ha reso in modo mirabile un passo che mi è particolarmente caro: "L'atto della scrittura sarebbe stato facile. Non avrei dovuto fare altro che riportare sulla carta quel monologo diuturno e inquieto che da anni, letteralmente, mi scorreva nella mente".
Il vero controllo (e London, Zamjatin, Huxley e Orwell) l'avevano capito, non è quello del territorio o delle materie prime, ma quello delle menti (l'avevano capito anche Stalin e Hitler).


Gli americani non hanno battuto i vietnamiti con i B52 o il napalm, ma con la globalizzazione.

Oggi operai vietnamiti fabbricano scarpe e assemblano stampanti a prezzi inferiori a quelli degli operai cinesi. E spesso per multinazionali americane.

Occhio! il Big Brother non solo ci guarda, ma ci telecomanda cranio e portafogli.


Monologo diuturno e inquieto. Da ogni pagina di "1984" traspare, a mio avviso, il dolore, la fatica e il disgusto di George Orwell (ex poliziotto coloniale in Birmania) per quella parte di "umanità" zeppa di esseri avidi, inutili e meschini che rendono un inferno, su questa terra, la vita a tutti gli altri.



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