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giovedì 6 giugno 2013

"Babele/3: Immigrazione"
Voler ragionare in Italia (in Europa) di immigrazione è tabù. Se non si seguono gli stereotipi del politically correct (= profondamente ipocrita) sciorinando frasi fatte, spesso prive di riscontri oggettivi e di onestà intellettuale, si viene tacciati di razzismo, anche se si cerca di ragionare mossi dal rispetto sia per gli italiani che per gli immigrati. 

Da anni avverto il diffuso allarme della gente comune per gli effetti che l'immigrazione massiccia (da paesi poveri e culture profondamente diverse) ha sulle loro vite. Allarme che viene ignorato sia dai mezzi di informazione, che dal dibattito politico.

Voler ragionare di immigrazione, oggi, in Italia, dev'essere stato, credo, come pretendere di ragionare di "ebraismo" nella Germania nazista o di "proprietà privata" nella Russia sovietica: un suicidio.
L'Italia che si rifugia dietro roboanti slogan a basso prezzo: "Accoglienza", "Tolleranza", "Integrazione" abbandonando al contempo gli immigrati allo sfruttamento e al degrado. Quest'Europa capace di spaccarti i cabasisi su quisquilie e cavilli (fra le ultime, da ridere, "le "circolari comunitarie" sulle... oliere a tavola), ma incapace di promuovere politiche serie. La Grecia che, in un momento di tragica crisi economica e sociale, stanzia milioni di euro per la costruzione di una grande moschea ad Atene (ma nei quartieri popolari, non in quelli chic), mi ricordano le tre scimmie che non sentono, non vedono e non parlano... ma preparano il disastro.

Scrivere di immigrazione su  un blog è rischioso, si può essere facilmente fraintesi.


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