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mercoledì 13 giugno 2012

"La via degli angeli" di Pupi Avati (1999)
Come eravamo fino a non molto tempo fa. Guardiamo indietro per capire come andare avanti.

Anni 30
La giovane Ines si è diplomata in dattilografia ed è stata assunta da un simpatico vecchio antiquario bolognese che non la paga mai ma è tanto buono - e ha un figlio, Angelo, perennemente addormentato su un divano a smaltire le sue notti di allegri bagordi, di cui la ragazza si innamora a tambur battente. Si cambia di scena e si passa, per l'estate, a Sasso Marconi, dove il film si allarga alla dimensione corale tipica del cinema di Avati. Da una parte la vecchia casa contadina della nonna dove la giovane Ines villeggia con le cugine. Dall'altra la villa dei signori del luogo, dove la giovane vedova Eliana Miglio si dà alla pazza gioia, mentre la sua nevrotica cognata Chiara Muti consegna alle pagine di un romanzo- denuncia la sua scandalizzata indignazione. E, a fare da collante alla storia di quest'estate appenninica, c'è la titanica impresa di un personaggio che non ha neanche un proprio nome, ma si chiama "il fratello di Loris" il quale tutti gli anni percorre su e giù la montagna sopra Sasso per portare di cascinale in cascinale la notizia dell'annuale apertura della balera del fratello - un'occasione letteralmente unica per incontrare delle ragazze - vendere quante più prenotazioni possibili per la festa inaugurale, e trascinare a valle per la festa, dopo un'accurata preparazione, la sua squadra di montanari, che Avati mette insieme in modo da ricordare ironicamente Il quarto stato di Pellizza da Volpedo. Più che la storia legata alla casa gentilizia dove la giovane Ines è ammessa come dattilografa e protetta, sono i personaggi che incontra il "fratello di Loris" nelle sue peregrinazioni montane (il medico condotto Carlo Delle Piane, tormentato dal ricordo di una moglie che lo ha mollato, il figlio ormai anziano cui la madre ha instillato una profonda misoginia, due vecchi "orfani" che decidono finalmente di vivere) a descrivere con tenerezza e con humour la lontanissima Italia contadina di quegli anni.
(da Repubblica; 14 dicembre 1999)

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