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martedì 6 marzo 2012

Ahmed  da "Il Guado"
Questo è il "Gateway" dove nel 2003 vidi il piccolo Ahmed.
Da Cap.1 "Il bottino di Ahmed"
(Scena: Gateway of India, Mumbai; Tempi: Attuali; Personaggi: Io narrante; Il piccolo Ahmed)
Gateway of India, Mumbai, India
"Ahmed non aveva braccia.
E neanche gambe.
I suoi genitori avevano deciso di amputargliele quando non aveva ancora tre anni, quando avevano scoperto che aveva gli occhi teneri, ideali per l’elemosina.
Erano occhi dolci, non selvatici e primitivi come quelli di Amin e Farid.
Erano occhi a cui non erano abituati, di un tipo che non avevano mai incrociato prima nelle loro vite, che li attirava e li impauriva.
Li attirava perché faceva loro intravedere quel mondo benigno che sognavano quando la fatica di vivere li lasciava esausti.
Li impauriva perché capivano che aprire un varco a quegli occhi li avrebbe lasciati indifesi, esposti all’onnipresente violenza in cui erano immersi da quando erano nati.
Gli avevano quindi tagliato le braccia e le gambe perché pensavano fosse la cosa giusta da fare.
Pensavano che collocandolo ogni mattino al posto giusto, su un carrettino a ruote spinto dai suoi due fratelli, avrebbe potuto fruttare, di certo, un sicuro bottino.
Ogni giorno.
Fu così che in un soffocante mattino d’inverno ad Ahmed fu tagliato il primo braccio.
Di netto, alla radice.
Nel volgere di un paio d’anni gli furono recisi l’altro braccio e le due gambe.
Così, a sei anni, Ahmed fu pronto per il proprio destino di soldato.
Fu pronto per il bottino.
Il bottino di Ahmed, ne erano certi, li avrebbe aiutati a sfamare i loro tanti figli e le troppe figlie.
I genitori di Ahmed non erano cattivi.
Non potevano esserlo perché non sapevano cosa volesse dire essere buoni.
Non potevano essere buoni perché dentro le loro teste, le loro anime e i loro cuori non erano mai potuti entrare il senso di compassione, lo spirito di pietà, il senso della Storia, il senso della provenienza, il piacere dell’appartenenza, la logica aristotelica o il senso di un progetto di vita".
Per molti aspetti, quando erano nati, il mondo era nato con loro.
Nelle loro anime non aveva potuto quindi crescere che un cupo e duro istinto di sopravvivenza.
Un istinto che, piuttosto che farli vivere con coscienza, li sospingeva verso una vita buia e senza speranza.
I loro occhi erano finestre che davano su cervelli scarni, privi dei mobili di un affetto ricevuto o dei tappeti di un’educazione ereditata.
Da quanto entrambi potessero ricordare, frugando nelle più sperdute nebbie delle loro memorie, fra i lontani, maleodoranti ricordi del loro umido e desolato villaggio, spurgava solo un senso di disperata paura e un ancor più ferino istinto di sopravvivenza.
Madre Natura, la sfortuna e l’abitudine li avevano programmati per sopravvivere a qualsiasi costo e in qualsiasi modo.
Anche oltre quei limiti che per milioni di persone potevano costituire una non vita.
Fu per tutto questo che quando avevano scoperto gli occhi dolci di Ahmed li avevano benedetti come un dono di Allah.
Si avviavano ormai verso il tramonto dei loro trent’anni ed erano certi che fosse proprio un tardivo dono di Allah.

Un lampo!
Ahmed emerse come un lampo dalla vista di insieme del “Gateway con folla e Taj Mahal sullo sfondo” che mi stavo godendo mentre il battello si preparava all’ormeggio.

Traghetti per Elephanta Island, ormeggiati sul molo del Gateway of India.

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